giovedì 17 dicembre 2009

lunedì 14 settembre 2009

Foto Sub: Otranto 2009





mercoledì 29 luglio 2009

Buck Owens e il Bakersfield Sound (I parte)

Texas, contea di Grayson, dove il Red River separa il Lone Star State dall’Oklaoma. A Sherman, capitale della contea, il 12 Agosto del 1929 nasce da una famiglia di agricoltori Alvis Edgar Owen Jr.. I suoi genitori, Alvis Edgar Owens Senior e Maicia Azel Owens lavoravano infatti come mezzadri.
Come ebbe a dire anni dopo raccontando della sua infanzia e della sua famiglia: ”[…] eravamo mezzadri, eravamo un po’ di tutto. […] Il padrone metteva il seme e la terra e noi mettevamo il lavoro. E si riceveva una parte di ciò, abitualmente il 50% del profitto, e a volte non c’era molto profitto da dividere […]”.
Alvis Edgar Owens era il secondo di quattro figli. All’età di 3-4 anni, entrò in casa e sorprendendo tutti disse ai presenti che si sarebbe chiamato Buck, come il mulo che avevano nella fattoria.
Pensando alla determinazione che lo avrebbe contraddistinto negli anni a venire, la scelta del nome
aveva in sé qualcosa di profetico. E da quel momento, quel nome non lo avrebbe più abbandonato. Siamo negli anni 30, il periodo della grande depressione economica. Un periodo difficile per tutti, in particolare per le aree rurali del Texas e dell’Oklaoma. Questo spinse migliaia di agricoltori e contadini ad emigrare ad Ovest.

Nel Novembre del 1937 toccò anche alla famiglia Owens raccogliere le proprie cose e partire verso Ovest in cerca di un futuro migliore. Alvis Owens Senior costruì un rimorchio per poter viaggiare con la sua famiglia e con alcuni loro parenti. Un totale di 10 persone ammucchiati in una Ford del 1933. Durante il viaggio si fermavano soltanto per magiare e dormire, ma nei pressi di Phoenix il rimorchio cedette per il troppo carico, costringendoli ad interrompere il viaggio. Ora a Mesa, un sobborgo di Phoenix la famiglia Owens aveva alcuni parenti. Decisero quindi di fermarsi lì e cominciarono a fare gli stessi lavori che avevano sempre fatto in Texas. Cominciarono a lavorare in un caseificio in Arizona e in alcuni frutteti. Occasionalmente si recavano nelle ricche aziende agricole della San Joaquin valley in California a raccogliere verdure vicino Tracy, pesche nella zona di Modesto, carote a Porterville e cotone e patate a Bakersfield.
Questa vita dura, fatta di sacrifici, di disagi e di privazioni influirono in modo determinante sul carattere del giovane Buck.

Stava acquisendo pian piano quella grande determinazione che lo avrebbe portato di lì a poco a cambiare completamente vita. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto esattamente. Di certo non
aveva alcun dubbio su cosa non avrebbe fatto. Voleva infatti una vita migliore. Ma vediamo come
lo stesso Buck definisce quel periodo della sua vita a Mesa.

“Là era dove il mio sogno cominciò a prendere forma. Non dover raccogliere cotone e patate, non dover vivere nel disagio, avere o troppo caldo o troppo freddo. […] Ricordo che da bambino soffrivo molto il freddo. E a volte anche la fame. Andavo a letto dopo aver mangiato pane e latte e ricordo che indossavo scarpe con i buchi nella suola. E ricordo anche che le scarpe avevano lo spago al posto dei lacci. […] Ricordo che indossavo vestiti di seconda mano. […] Ma ricordo che dicevo a me stesso che quando sarei diventato grande non sarei andato a letto affamato, non avrei indossato abiti usati. Quando sarei cresciuto non mi sarei fatto tagliare i capelli a casa da mia madre […]. Avevo paura di dover vivere una vita così, sebbene ero consapevole che almeno la metà dei miei compagni di scuola erano come me.”

Le necessità di lavoro della sua famiglia fecero si che Buck fosse costretto a cambiare spesso scuola. Comunque, buona parte del suo sogno di una vita migliore prende forma proprio lì tra i banchi. Non amava fare i compiti ma amava tantissimo cantare ed effettuare piccole esibizioni. E cercò sempre di essere coinvolto maggiormente in questo tipo di attività scolastiche. “Stavo cercando di diventare qualcuno” disse poi.

Buck aveva 13 anni e a scuola aveva appena completato l’ottava classe. Nell’estate del 1943, durante le vacanze estive cercò un lavoro e non ebbe difficoltà a trovarlo. Infatti la II Guerra mondiale aveva fatto si che la maggior parte degli uomini indossasse una uniforme per andare a combattere.
Per Buck l’aver cominciato a guadagnare fu l’inizio di una grande svolta nella sua vita. Alla fine dell’estate cominciò a frequentare la nona classe, ma questo durò soltanto per pochi mesi. Quando infatti soldi che era riuscito a mettere da parte terminarono, decise di lasciare la scuola ritornare a lavorare. Riuscì a convincere sua madre a lasciarlo fare, promettendo che avrebbe lasciato la scuola solo temporaneamente. In realtà non ritornò più in classe. La sua vita cominciò pian piano a prendere una direzione che lo avrebbe portato a diventare quel grande artista che oggi conosciamo. Lavorò come fattorino alla Western Union ma si dava da fare anche lavando automobili e caricando e scaricando frutta.

E la musica comincia pian piano ad occupare una parte rilevante della sua vita. Musica che non era affatto estranea in famiglia. Il padre di Buck suonava l’armonica, la madre sapeva suonare il piano mentre due suoi zii si dilettavano con la chitarra. Buck ascoltava la musica Bluegrass e la musica delle string band attraverso alcune radio che trasmettevano dal confine messicano. Dorothy, la sua sorella minore contribuisce alla crescita musicale di Buck spingendolo ad ascoltare la musica di Bob Wills, T. Texas Tyler, Moon Mullican e Ted Daffan.
Quel natale Buck ricevette un mandolino come regalo dai suoi genitori. Più tardi suo padre gli procurerà la sua prima chitarra. L’effetto fu quello di accrescere il suo interesse per la musica. Non doveva più limitarsi infatti ad ascoltare la musica degli altri, ma con gli strumenti poteva egli stesso fare musica. E non ebbe bisogno neanche di un maestro per imparare. I suoi maestri furono la radio, le registrazioni che ascoltava e tutti coloro con cui poteva suonare a casa. Dirà poi sua sorella Dorothy, riferendosi alla sua capacità di imparare: “Era come una spugna. Assorbiva da tutto e da tutti”.

A 16 anni Buck si unisce al diciannovenne chitarrista Theryl Ray Britten e con lui prepara uno spettacolo di 15 minuti che veniva trasmesso attraverso la radio KTYL a Mesa. Non erano pagati per questo, ma attraverso la radio ebbero modo di farsi conoscere e di suscitare curiosità ed interesse nella gente. Non era raro infatti che gli studi della KTYL si riempissero di persone che desideravano vederli attraverso i vetri mentre andavano in trasmissione.
Suonavano anche nei locali Honky-Tonk, ma in questo caso solo se il barista gli offriva da mangiare. Alla fine si stabilirono in un locale Honky Tonk di Phoenix conosciuto con il nome di
Romo Buffet. Il duo “Buck e Britt” si trasforma per l’occasione in un trio in quanto entra a far parte della formazione anche un trombettista.

Riuscivano a raccogliere dal pubblico attorno ai $100 a serata, dipendentemente da quanta folla c’era ad ascoltarli. Di questi soldi loro trattenevano il 10% che poi dividevano in tre parti uguali..
La curiosità e l’interesse di Buck verso la musica cresceva in continuazione. E i suoi genitori cercavano per quanto possibile di accontentarlo. Infatti, quando riuscì ad avere una steel guitar elettrica, suo padre adattò una vecchia radio per farla funzionare come un amplificatore.
In questo periodo il suo idolo era Jimmy Wyble, il chitarrista country jazz dei Texas Playboys di Bob Wills. Più tardi diventerà un fan di Merle Travis.
Nonostante tutto, i suoi genitori avevano comunque dei dubbi sulla vocazione del figlio, dubbi che
nascevano dal fatto che Buck era ancora minorenne.
“Mia madre e mio padre non gradivano che suonassi nei locali. Non si resero mai conto, e neanche io al momento, di quale grande opportunità mi si fosse presentata, essendo stato capace di guadagnarmi da vivere mentre stavo imparando il mio mestiere. Ma questi erano i loro sentimenti quando andavo a suonare musica in posti in cui la gente beveva.
Ricordo che potevo guadagnare circa $5 raccogliendo cotone tutto il giorno. E guadagnavo gli stessi soldi in questi locali ogni notte, dove era caldo d’inverno e fresco d’estate.”

Un incontro importante fu quello con Mac MacAtee, proprietario di una pompa di benzina che ogni pomeriggio per un’ora mandava in onda registrazioni di musica country sulle radio locali.
Fu importante non solo perché Buck cominciò a suonare la steel guitar nella sua band, i Mac’s Skillet Lickers, ma anche perché è lì che incontra Bonnie Campbell, una aspirante cantante che entrerà negli Skillet Lickers ma che soprattutto diventerà sua moglie e gli darà due figli.
Sebbene avesse solo 19 anni, ora Buck Aveva una famiglia tutta sua da mantenere. E la manteneva non solo suonando ma anche facendo il camionista. Diventò molto amico di un altro camionista ed aspirante cantante: Marty Robinson, che cantava le canzoni di Eddy Arnold con il nome di Marty Robbins.
Nel Maggio 1951 Buck e Bonnie decisero che a Phoenyx avevano in qualche modo fatto tutto quello che per loro era possibile fare. Decisero quindi di spostarsi a Bakersfield, California, 100 miglia a nord di Los Angeles. Era questa una zona ricca di industrie petrolifere e terreni coltivati, molto più che in Texas o Oklaoma. Per questo motivo era diventata il rifugio ideale per tanta gente bisognosa di lavorare in seguito alla crisi degli anni 30 e 40. I genitori di Buck si spostarono lì più tardi.

Bakersfield vantava una solida situazione a riguardo della Country Music. Bob Wills aveva lavorato molto lì durante i suoi anni in California e sia The Maddox Brothers & Rose e il cantante Felin Husky (conosciuto anche come Terry Preston) erano di casa lì. Una volta a Bakersfield, non ebbe molte difficoltà ad unirsi ad una Band capeggiata dal chitarrista steel Dusty Rhodes.
In quattro mesi riuscì ad entrare nei “Bill Woods e The Orange Blossom Playboys”, la band di casa del Blackboard, il più importante Country Music Night Club di Bakersfield.
E il Blackboard fu la sua seconda casa per ben 7 anni, fino al 1958. Come la maggior parte delle band western dell’epoca, i Playboys suonavano un po’ di tutto: Country, Rhythm and Blues, Polka, Pop e a volte anche Rumba.
Buck suonava come chitarra principale e fu sorpreso quando lo stesso Woods gli chiese di cantare. Poiché cantavano senza monitor dovette imparare velocemente ad impostare la voce.
Bisognava infatti cantare il più forte possibile avendo il microfono dritto d’avanti, sperando di sentire abbastanza l’eco della voce che usciva dalle casse principali.

Dorothy Owens dirà poi che Buck, che nel frattempo si era separato da Bonnie e si era trasferito a casa con i suoi genitori stava ancora cercando di diversificarsi musicalmente. Imparò a suonare il sassofono e lei ricorda il suo straordinario orecchio musicale. “Mamma ed io facevamo un piccolo gioco con Buck. Lui era in un'altra stanza e mamma o io suonavamo una nota sul piano e lui doveva dirci di che nota si trattasse.

La nuova musica lo portò a cambiare chitarra. Sostituì la sua Gibson L-7 archtop elettrificata con una Fender Telecaster, una nuova chitarra rivoluzionaria presentata da Leo Fender nel 1950.
Il suo suono, ottenuto fissando le corde al corpo della chitarra era triplicato e pungente. Buck comprò per $35 una Tele usata da Lewis Talley, un cantante country locale. E sarà proprio la Telecaster che avrà un ruolo fondamentale nel futuro musicale di Buck.

L’ascesa di un altro artista di Bakersfield fu una opportunità per Buck. Il musicista Ferlin Husky, che lavorava per l’etichetta discografica Capitol, aveva aiutato il cantante Leonard Sipe, meglio conosciuto come Tommy Collins ad ottenere un contratto discografico nel 1953.
Ferlin suonava la chitarra nella prima sessione di Collins, ma prima della seconda abbandonò la
Capitol grazie all’improvviso successo che ebbe un suo brano. Tommy aveva bisogno così di un
chitarrista e Ferlin chiese a Buck di sostituirlo.
L’8 Settembre del 1953 era negli studi della Capitol di Melrose Avenue a Los Angeles, a registrare “You better not do that”. Era il primo hit di Collins e raggiunse il secondo posto nella classifica nazionale. Ken Nelson, il responsabile della Capitol per quanto riguardava la musica Country, sentì qualcosa di speciale nella chitarra di Buck, nel suo stile e nel suo ritmo. Quell’anno Buck e Bonny divorziarono ma rimangono amici dividendosi la custodia dei due figli.

Buck continuava a suonare al Blackboard con Bill Woods. Nel 1954 Jack Macfadden, che diventerà il suo manager nel 1963 era al Blackboard con Tommy Collins per discutere il primo tour nazionale del cantante. “Era domenica pomeriggio e il posto era pieno. Io e Tommy sedevamo e guardavamo ognuno della band fare le loro cose. Buck cominciò a cantare e io guardavo il modo in cui la gente reagiva a quello che stava facendo. Tommy voleva chiamare Buck per portarlo in Tournee come chitarrista. Buck Owens stava per diventare una stella”.

Buck si recò con Collins al Grand Ole Opry nel 1954 per accompagnarlo nella esibizione di “You better not do that”. Lavorò soltanto per un breve periodo come chitarrista di Collins prima di ritornare al Blackboard.

martedì 30 giugno 2009

Sono morto da cinque minuti


Semplicemente Geniale!



mercoledì 29 aprile 2009

Country Legend: George Jones

Se provaste a chiedere ad un qualsiasi cantante Texano quali siano gli artisti a cui si è ispirato o comunque che hanno avuto un ruolo decisivo nella loro formazione artistica, siate pur certi che non potrà mancare il nome di George Jones. E questo anche se la musica dell’artista che vi trovate davanti possa sembrare parecchio distante da quell’honky tonk spontaneo e genuino che ha caratterizzato la carriera di una vera e propria leggenda vivente della Country Music.


George Glenn Jones nasce il 12 Settembre del 1931 a Saratoga, Texas. E come spesso accade in questi casi, la musica era di casa nella sua famiglia. Suo padre suonava infatti la chitarra mentre la mamma il piano, cosa che incoraggiò il piccolo George ad avvicinarsi precocemente alla musica. All’età di soli nove anni gli fu regalata una chitarra e non ci volle molto perché George imparasse a suonarla. Cominciò dapprima a suonare nelle funzioni in chiesa per poi passare, qualche anno più tardi, ad esibirsi nelle strade di Beaumont, dove nel frattempo si era trasferito con la sua famiglia.

E’ il 1947 quando comincia ad avere le sue prime esperienze con gruppi musicali e a familiarizzare con gli show radiofonici. Ed è proprio a questo periodo che risale il soprannome che lo accompagnerà per tutta la sua carriera, “the Possum”, dovuto alla supposta somiglianza con l’Opossum, marsupiale diffuso in Australia e America del Nord. (Se dovesse capitare di imbattermi in uno di questi animali, state pur certi che lo chiamerò George!). Dopo un matrimonio lampo durato soltanto un anno e dopo alcuni anni passati nei Marines, nel 1953 fa ritorno dalla guerra di Corea. Ricomincia pertanto la sua attività musicale suonando nei locali e nei club di tutta la zona sud-est del Texas. Questo contribuì a fargli guadagnare una discreta popolarità, ma soprattutto l’attenzione di H.W. "Pappy" Dailey, uno dei proprietari della Starday Records di Huston, Texas. Il suo primo singolo, un brano dal titolo "No Money in This Deal" risale ai primi mesi del 1954, ma passerà pressoché inosservato. Quell’anno uscirono altri tre singoli, ma per trovare il suo primo hit, il suo primo successo, dobbiamo arrivare all’estate del 1955, quando George Jones arriva inaspettatamente al quarto posto delle classifiche con il singolo “Why, Baby, Why”.

Gli anni successivi furono un susseguirsi di hit di successo. Ricordiamo nel 1956 "Just One More", "Yearning", "What Am I Worth", che gli permettono di raggiungere con regolarità la Top Ten dei dischi più venduti. E’ questo il periodo in cui George Jones, con lo pseudonimo di Thumper Jones, si cimenta anche per un breve periodo come cantante Rockabilly, senza però molta fortuna, sia dal punto di vista commerciale che da quello artistico. Nell’Agosto dello stesso anno entra a far parte del cast della Grand Ole Opry, ma questo non gli impedì di decidere di restare in Texas piuttosto che trasferirsi a Nashville.


Nel 1957 la Starday Records firma un accordo con la Mercury Records e i dischi di George Jones cominciarono ad apparire con la nuova etichetta. Dailey comincia a registrare George a Nashville, e il suo primo singolo per la nuova etichetta, "Don't Stop the Music", fu un altro hit che raggiunse ancora una volta la Top Ten. Ma fu nel 1959 che con "White Lightning", raggiunge il primo posto in classifica e lì vi resta per ben cinque settimane, seguito dalla ballata "Tender Years", brano che due anni dopo resterà per sette settimane in cima alla classifica.

Nel 1962 Dailey passa alla United Artists Records e porta con sè anche George Jones. Il suo primo disco per la nuova etichetta, "She Thinks I Still Care", sarà il terzo hit che raggiungerà il primo posto in classifica. E’ questo un periodo particolarmente felice per la sua carriera di musicista, impreziosita da successi come "We Must Have Been Out Of Our Minds" (duetto con Melba Montgomery, 1963), "The Race Is On" (1964), "Love Bug" (1965), "I'm a People" (1966), "Walk Through This World With Me" (1967), "When the Grass Grows Over Me" (1968) e "I'll Share My World With You" (1969).

Tra il 1965, anno in cui passa alla Musicor, la nuova etichetta di Dailey, e il 1970, riesce a piazzare ben 17 hit nelle Top Ten. Per darvi una idea della fertilità artistica di questo periodo, in cinque anni riuscì a registrare qualcosa come 300 brani con la Musicor, anche se inevitabilmente non sempre di livello accettabile.

George Jones era diventato uno degli artisti Country più acclamati di quel periodo. Il 1968 segna la fine del suo secondo matrimonio, e lo stesso anno incontra Tammy Wynette, una delle nuove cantanti più popolari della Country Music e che diventerà sua moglie l'anno seguente. E' questo il periodo in cui la tensione con il suo produttore storico Dailey è al culmine. La causa di ciò era il modo in cui la Musicor produceva la sua musica. George Jones ne era insoddisfatto e attribuiva a Dailey le maggiori colpe di ciò. La sua lunga collaborazione con Pappy Dailey era destinata a concludersi, cosa che avvenne inesorabilmente l’anno successivo.

Cominciò così a lavorare con Billy Sherrill, della Epic Records, produttore di Tammy. Con Sherril iniziò una collaborazione che cominciò ben presto a dare i suoi frutti, anche se ciò aveva significato un sostanziale cambiamento del suo modo di fare musica, del suo sound, ma soprattutto l’accettazione dei modi severi e rigorosi del suo nuovo produttore. In studio tutti dovevano obbedire ai suoi ordini, musicisti e cantanti compresi, l’esatto contrario dei modi accondiscendenti a cui era stato abituato negli anni passati con Dailey. "We Can Make It" (1971), il suo primo singolo per la Epic, fu comunque subito un successo seguito a breve da "Loving You Could Never Be Better", "The Ceremony" duetto con Tammy del 1972, "Once You've Had the Best" (1973), e "The Grand Tour" (1974).

E mentre il suo rapporto con Tammy diventava sempre più difficile, George Jones precipita nel periodo più buio della sua carriera, fatto di abuso di alcool, uso di droghe, ma anche di concerti saltati e di presunte percosse alla moglie. Tra separazioni e riconciliazioni, il loro rapporto durò fino al 1975. E’ quantomeno curioso il fatto che, nonostante il divorzio, i due continuarono a lavorare e registrare assieme. Ricordiamo i maggiori successi di quel periodo: "Golden Ring" del 1976, "Near You" con Tammy (1977), "Bartender's Blues" con James Taylor nel 1978. Nel 1979 non si presentò ad oltre cinquanta concerti, cosa che gli valse l’appellativo di “No-Show Jones”, tra le ire dei fans e lo scherno dei tabloid dell’epoca. George Jones fu costretto a ritirarsi in Alabama in una clinica per alcoolisti.

Il decennio successivo si apre sotto i migliori auspici. Nel 1980 si aggiudica un Grammy e un CMA Award con “He Stopped Loving Her Today”, seguito da "If Drinkin' Don't Kill Me Her Memory Will" e "Still Doin' Time" (1981) e da "Yesterday's Wine" con Merle Haggard (1982). Ma è solo nell’anno successivo che potrà dire di aver superato i suoi problemi di alcool e cocaina, grazie anche al sostegno e al costante aiuto della sua quarta moglie. Negli anni successivi, George Jones continua regolarmente ad essere presente con i suoi hit nelle Charts. Ricordiamo succesi come "I Always Get Lucky With You" e "We Didn't See A Thing" con Ray Charles (1983), "She's My Rock" (1984), "Who's Gonna Fill Her Shoes" (1985), "The One I Loved Back Then" (1986), "The Right Left Hand" (1987), "If I Could Bottle This Up" con Shelby Lynne (1988) e "One Woman Man" (1989), ultimo successo con l’etichetta Epic.


Nel frattempo le radio Country cominciarono a dare ampio risalto a nuovi artisti, e nelle Country Charts i brani di George Jones dovettero fare i conti con hits di artisti che rispondevano al nome di Randy Travis, Keith Whitley e Dwight Yoakam, tutti per ironia della sorte profondamente influenzati dalla musica di Jones. Ed è proprio con Randy Travis che resta memorabile un suo duetto "A Few Old Country Boys" datato 1990.

Nel 1991 passa alla MCA e l’anno successivo sarà quello della sua incoronazione nella Country Music Hall of Fame. In quegli anni porterà al successo brani come "You Couldn't Find The Picture" (1991), "I Don't Need Your Rockin' Chair" (1992) e "Never Bit a Bullet Like This" con Sammy Kershaw (1993). Dopo un delicato intervento al cuore, nel 1996 pubblica la sua autobiografia, “I Lived To Tell It All”.

Nel 1998 un grave incidente d’auto fa temere per la sua vita e cantanti Country di tutte le epoche, da Little Jimmy Dickens ad Alan Jackson, da Randy Travis a George Strait, da Sammy Kershaw a Billy Ray Cyrus manifestano tutta la loro vicinanza alla famiglia Jones. Le indagini appureranno poi che guidava ubriaco, una rivelazione sconvolgente per quanti ritenevano avesse superato i suoi problemi con l’alcool. Fatto sta che un nuovo George Jones si riaffaccia alla vita in seguito all’incidente. Non solo abbandona definitivamente la bottiglia ma smette di fumare e addirittura di bere caffè.

George Jones è oramai molto più che un consumato cantante Country. Gli eccessi della sua vita, i suoi amori, il suo naturale talento, la sua musica, hanno segnato ben 50 anni di storia della musica. (Consiglio vivamente il triplice Album “50 Years of Hits”, una raccolta dei successi più significativi a partire da “Why, Baby, Why” del 1955). E nonostante l’avvento di un nuovo modo di fare Country, in questi 50 anni non ha mai dimenticato le sue radici, diventando una pietra miliare vivente e una icona per la musica made in Texas, per generazioni di musicisti e per l’intera storia della Country Music.

lunedì 26 gennaio 2009

Una nuova frontiera nella diffusione elettronica dei dati

Le API stanno cambiando il modo di intendere il Web. Ovviamente non mi riferisco agli insetti a strisce gialle e nere che fanno il miele, bensì alle Application Programming Interfaces.

Semplificando, sono un insieme di tecniche che consentono ad applicazioni software di colloquiare e interagire tra loro. In modo più rigoroso, le API definiscono come i programmatori possono utilizzare una particolare caratteristica di un sistema software all'interno delle proprie applicazioni.
Le API di Windows, ad esempio, possono essere utilizzate dai progettisti e dai programmatori per gestire finestre, processi, utilizzare il file system, la rete, ecc... all'interno delle proprie applicazioni. Al programmatore non interesserà sapere come le API interagiscono con il sistema sottostante e con l'hardware. Le API infatti mascherano tutti questi dettagli, fornendo una interfaccia comune alle risorse che si intendono utilizzare.
Ovviamente il concetto di API esiste da molto prima della nascita del Web. Ma è sul Web che le API stanno rapidamente rivelando a tutti la propria potenza. Da oggetti “misteriosi” per specialisti, stanno diventando interessanti opportunità per un numero immenso di progettisti e sviluppatori Web ma anche per webmaster e blogger. Avrete di certo sentito parlare delle API di Google. Molti di voi magari avranno anche provato ad utilizzarle. Ma esistono anche le API di Amazon, di eBay, di Flirk, Yahoo, Youtube e così via. La disponibilità di tutte queste API sta cambiando profondamente Internet e i relativi scenari digitali. La possibilità di creare applicazioni combinando insieme dati e servizi offerti da più fonti, sta di fatto dando vita ad una nuova generazione di sistemi e di siti Web. Questa è una tecnica comunemente detta Mashup, e il risultato sono nuovi Sistemi Web che si avvalgono anche di servizi messi a disposizione da terze parti.
Amatoriali o “business oriented”, in ogni caso si parte dai singoli servizi cercando di creare valore aggiunto.
Il Mashup si trasforma così in una interessante opportunità per i vari soggetti coinvolti. Le API infatti, permettono a progettisti e a webmaster di inglobare nei propri sistemi Web servizi di terze parti molto spesso non implementabili in nessun altro modo. Ma è anche (ovviamente) una opportunità per il “produttore” del servizio. Non dimentichiamo infatti che chi mette a disposizione le API è innanzitutto un fornitore di dati e informazioni o di servizi su dati e informazioni. A volte è esso stesso il “produttore” di tali dati e informazioni digitali. Ossia di quel ristretto genere di prodotti che possono viaggiare ed essere consegnati a destinazione direttamente attraverso la Rete.
La diffusione dei dati ufficiali di un Paese da parte degli Istituti e degli Enti preposti ha conosciuto uno sviluppo ed una evoluzione senza precedenti dopo l'avvento di Internet. La diffusione è diventata “elettronica”, le pubblicazioni su carta che avevano cominciato a lasciare il posto in un primo momento a floppy disk e CD, sono passate pian piano on-line. E on-line sono nati sistemi informativi più o meno sofisticati dedicati alla diffusione dati, dove all'utente viene data non più soltanto la possibilità di scaricare pubblicazioni, file e tavole di dati ma anche di selezionare parametri attraverso più o meno facili interfacce Web per interrogare in tempo reale complessi data base ed ottenere i dati desiderati.
Tutta la diffusione elettronica dei dati, sin dall'inizio, è stata concepita pensando all'utente come ad un essere umano. E' l'utente che si collega ad Internet, accede al sito Web, eventualmente si autentica, naviga col mouse all'interno del sistema, seleziona parametri, scarica dati e così via. Sono rarissimi invece i casi in cui l'accesso ai dati viene consentito ad applicazioni Web attraverso l'esposizione di API o Web Services. Questi ultimi sono delle API particolari che vengono implementate esclusivamente sul Web. In un contesto globale in cui i dati ufficiali dei singoli Paesi, dell'Europa, delle Organizzazioni Internazionali entrano nei cicli di produzione di altri Enti ed Organizzazioni, pensare anche di permettere direttamente alle macchine e alle applicazioni di approvigionarsi di questo tipo di dati significa certamente guardare avanti, preparandosi per tempo a quelli che saranno a breve i nuovi scenari digitali. In attesa di ciò, ne approfitto per mostrarvi un esempio di Mashup tra le mappe di Google e i dati più recenti Istat sulla popolazione legale in Italia a livello comunale. (clicca QUI)

E' un piccolo esempio realizzato ormai più di un anno fa, ma sono certo che potrà dare una idea di quali potranno essere un giorno, sono sicuro non molto lontano, le nuove frontiere della diffusione elettronica dei dati.