mercoledì 29 aprile 2009

Country Legend: George Jones

Se provaste a chiedere ad un qualsiasi cantante Texano quali siano gli artisti a cui si è ispirato o comunque che hanno avuto un ruolo decisivo nella loro formazione artistica, siate pur certi che non potrà mancare il nome di George Jones. E questo anche se la musica dell’artista che vi trovate davanti possa sembrare parecchio distante da quell’honky tonk spontaneo e genuino che ha caratterizzato la carriera di una vera e propria leggenda vivente della Country Music.


George Glenn Jones nasce il 12 Settembre del 1931 a Saratoga, Texas. E come spesso accade in questi casi, la musica era di casa nella sua famiglia. Suo padre suonava infatti la chitarra mentre la mamma il piano, cosa che incoraggiò il piccolo George ad avvicinarsi precocemente alla musica. All’età di soli nove anni gli fu regalata una chitarra e non ci volle molto perché George imparasse a suonarla. Cominciò dapprima a suonare nelle funzioni in chiesa per poi passare, qualche anno più tardi, ad esibirsi nelle strade di Beaumont, dove nel frattempo si era trasferito con la sua famiglia.

E’ il 1947 quando comincia ad avere le sue prime esperienze con gruppi musicali e a familiarizzare con gli show radiofonici. Ed è proprio a questo periodo che risale il soprannome che lo accompagnerà per tutta la sua carriera, “the Possum”, dovuto alla supposta somiglianza con l’Opossum, marsupiale diffuso in Australia e America del Nord. (Se dovesse capitare di imbattermi in uno di questi animali, state pur certi che lo chiamerò George!). Dopo un matrimonio lampo durato soltanto un anno e dopo alcuni anni passati nei Marines, nel 1953 fa ritorno dalla guerra di Corea. Ricomincia pertanto la sua attività musicale suonando nei locali e nei club di tutta la zona sud-est del Texas. Questo contribuì a fargli guadagnare una discreta popolarità, ma soprattutto l’attenzione di H.W. "Pappy" Dailey, uno dei proprietari della Starday Records di Huston, Texas. Il suo primo singolo, un brano dal titolo "No Money in This Deal" risale ai primi mesi del 1954, ma passerà pressoché inosservato. Quell’anno uscirono altri tre singoli, ma per trovare il suo primo hit, il suo primo successo, dobbiamo arrivare all’estate del 1955, quando George Jones arriva inaspettatamente al quarto posto delle classifiche con il singolo “Why, Baby, Why”.

Gli anni successivi furono un susseguirsi di hit di successo. Ricordiamo nel 1956 "Just One More", "Yearning", "What Am I Worth", che gli permettono di raggiungere con regolarità la Top Ten dei dischi più venduti. E’ questo il periodo in cui George Jones, con lo pseudonimo di Thumper Jones, si cimenta anche per un breve periodo come cantante Rockabilly, senza però molta fortuna, sia dal punto di vista commerciale che da quello artistico. Nell’Agosto dello stesso anno entra a far parte del cast della Grand Ole Opry, ma questo non gli impedì di decidere di restare in Texas piuttosto che trasferirsi a Nashville.


Nel 1957 la Starday Records firma un accordo con la Mercury Records e i dischi di George Jones cominciarono ad apparire con la nuova etichetta. Dailey comincia a registrare George a Nashville, e il suo primo singolo per la nuova etichetta, "Don't Stop the Music", fu un altro hit che raggiunse ancora una volta la Top Ten. Ma fu nel 1959 che con "White Lightning", raggiunge il primo posto in classifica e lì vi resta per ben cinque settimane, seguito dalla ballata "Tender Years", brano che due anni dopo resterà per sette settimane in cima alla classifica.

Nel 1962 Dailey passa alla United Artists Records e porta con sè anche George Jones. Il suo primo disco per la nuova etichetta, "She Thinks I Still Care", sarà il terzo hit che raggiungerà il primo posto in classifica. E’ questo un periodo particolarmente felice per la sua carriera di musicista, impreziosita da successi come "We Must Have Been Out Of Our Minds" (duetto con Melba Montgomery, 1963), "The Race Is On" (1964), "Love Bug" (1965), "I'm a People" (1966), "Walk Through This World With Me" (1967), "When the Grass Grows Over Me" (1968) e "I'll Share My World With You" (1969).

Tra il 1965, anno in cui passa alla Musicor, la nuova etichetta di Dailey, e il 1970, riesce a piazzare ben 17 hit nelle Top Ten. Per darvi una idea della fertilità artistica di questo periodo, in cinque anni riuscì a registrare qualcosa come 300 brani con la Musicor, anche se inevitabilmente non sempre di livello accettabile.

George Jones era diventato uno degli artisti Country più acclamati di quel periodo. Il 1968 segna la fine del suo secondo matrimonio, e lo stesso anno incontra Tammy Wynette, una delle nuove cantanti più popolari della Country Music e che diventerà sua moglie l'anno seguente. E' questo il periodo in cui la tensione con il suo produttore storico Dailey è al culmine. La causa di ciò era il modo in cui la Musicor produceva la sua musica. George Jones ne era insoddisfatto e attribuiva a Dailey le maggiori colpe di ciò. La sua lunga collaborazione con Pappy Dailey era destinata a concludersi, cosa che avvenne inesorabilmente l’anno successivo.

Cominciò così a lavorare con Billy Sherrill, della Epic Records, produttore di Tammy. Con Sherril iniziò una collaborazione che cominciò ben presto a dare i suoi frutti, anche se ciò aveva significato un sostanziale cambiamento del suo modo di fare musica, del suo sound, ma soprattutto l’accettazione dei modi severi e rigorosi del suo nuovo produttore. In studio tutti dovevano obbedire ai suoi ordini, musicisti e cantanti compresi, l’esatto contrario dei modi accondiscendenti a cui era stato abituato negli anni passati con Dailey. "We Can Make It" (1971), il suo primo singolo per la Epic, fu comunque subito un successo seguito a breve da "Loving You Could Never Be Better", "The Ceremony" duetto con Tammy del 1972, "Once You've Had the Best" (1973), e "The Grand Tour" (1974).

E mentre il suo rapporto con Tammy diventava sempre più difficile, George Jones precipita nel periodo più buio della sua carriera, fatto di abuso di alcool, uso di droghe, ma anche di concerti saltati e di presunte percosse alla moglie. Tra separazioni e riconciliazioni, il loro rapporto durò fino al 1975. E’ quantomeno curioso il fatto che, nonostante il divorzio, i due continuarono a lavorare e registrare assieme. Ricordiamo i maggiori successi di quel periodo: "Golden Ring" del 1976, "Near You" con Tammy (1977), "Bartender's Blues" con James Taylor nel 1978. Nel 1979 non si presentò ad oltre cinquanta concerti, cosa che gli valse l’appellativo di “No-Show Jones”, tra le ire dei fans e lo scherno dei tabloid dell’epoca. George Jones fu costretto a ritirarsi in Alabama in una clinica per alcoolisti.

Il decennio successivo si apre sotto i migliori auspici. Nel 1980 si aggiudica un Grammy e un CMA Award con “He Stopped Loving Her Today”, seguito da "If Drinkin' Don't Kill Me Her Memory Will" e "Still Doin' Time" (1981) e da "Yesterday's Wine" con Merle Haggard (1982). Ma è solo nell’anno successivo che potrà dire di aver superato i suoi problemi di alcool e cocaina, grazie anche al sostegno e al costante aiuto della sua quarta moglie. Negli anni successivi, George Jones continua regolarmente ad essere presente con i suoi hit nelle Charts. Ricordiamo succesi come "I Always Get Lucky With You" e "We Didn't See A Thing" con Ray Charles (1983), "She's My Rock" (1984), "Who's Gonna Fill Her Shoes" (1985), "The One I Loved Back Then" (1986), "The Right Left Hand" (1987), "If I Could Bottle This Up" con Shelby Lynne (1988) e "One Woman Man" (1989), ultimo successo con l’etichetta Epic.


Nel frattempo le radio Country cominciarono a dare ampio risalto a nuovi artisti, e nelle Country Charts i brani di George Jones dovettero fare i conti con hits di artisti che rispondevano al nome di Randy Travis, Keith Whitley e Dwight Yoakam, tutti per ironia della sorte profondamente influenzati dalla musica di Jones. Ed è proprio con Randy Travis che resta memorabile un suo duetto "A Few Old Country Boys" datato 1990.

Nel 1991 passa alla MCA e l’anno successivo sarà quello della sua incoronazione nella Country Music Hall of Fame. In quegli anni porterà al successo brani come "You Couldn't Find The Picture" (1991), "I Don't Need Your Rockin' Chair" (1992) e "Never Bit a Bullet Like This" con Sammy Kershaw (1993). Dopo un delicato intervento al cuore, nel 1996 pubblica la sua autobiografia, “I Lived To Tell It All”.

Nel 1998 un grave incidente d’auto fa temere per la sua vita e cantanti Country di tutte le epoche, da Little Jimmy Dickens ad Alan Jackson, da Randy Travis a George Strait, da Sammy Kershaw a Billy Ray Cyrus manifestano tutta la loro vicinanza alla famiglia Jones. Le indagini appureranno poi che guidava ubriaco, una rivelazione sconvolgente per quanti ritenevano avesse superato i suoi problemi con l’alcool. Fatto sta che un nuovo George Jones si riaffaccia alla vita in seguito all’incidente. Non solo abbandona definitivamente la bottiglia ma smette di fumare e addirittura di bere caffè.

George Jones è oramai molto più che un consumato cantante Country. Gli eccessi della sua vita, i suoi amori, il suo naturale talento, la sua musica, hanno segnato ben 50 anni di storia della musica. (Consiglio vivamente il triplice Album “50 Years of Hits”, una raccolta dei successi più significativi a partire da “Why, Baby, Why” del 1955). E nonostante l’avvento di un nuovo modo di fare Country, in questi 50 anni non ha mai dimenticato le sue radici, diventando una pietra miliare vivente e una icona per la musica made in Texas, per generazioni di musicisti e per l’intera storia della Country Music.